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Fast fashion: come l'industria della moda sta devastando il Deserto dell'Atacama

Aggiornamento: 4 dic 2021


Rifiuti tessili nel deserto dell'Atacama
Associazione MetrOfficine

È un freddo sabato pomeriggio di inizio dicembre e ci ritroviamo in un mega centro commerciale alla ricerca di regali in vista del Natale, con altre migliaia di persone inconsapevoli di causare gravi danni all’ecosistema mondiale.


Ma in che modo si collega lo shopping al tema dell’inquinamento globale?


Oggi siamo qui per parlarvi di quanto e come il mondo della fast fashion impatti sull’ambiente in modo irreversibile e sempre crescente.


A confermarlo è un rapporto delle Nazioni Unite del 2019: il settore dell'abbigliamento ha più che raddoppiato la produzione di vestiti negli ultimi venti anni.


L'industria della moda è oggi responsabile del 20% dello spreco totale di acqua e del 10% delle emissioni di carbonio globali, più di tutti i voli internazionali e dei trasporti marittimi messi insieme.


Fast fashion e disastro ambientale


Come riporta "The State of Fashion 2021", l'industria della moda è ormai la più grande fonte di emissioni al mondo e questo dato ha un solo responsabile: la fast fashion.


Con il termine fast fashion ci si riferisce alla massimizzazione e alla velocizzazione del processo produttivo tessile, che metta sul mercato merce sempre nuova e a prezzi bassissimi.

Ciò ha causato una smisurata evoluzione del settore dell'abbigliamento di seconda mano, dove l’indumento durevole nel tempo ha perso valore in favore dell’odierna moda usa e getta.


Dal 1996, infatti, in Europa, la quantità di vestiti acquistati da una singola persona è aumentata del 40%, riducendo così drasticamente il ciclo vitale del prodotto tessile.


Un processo che ci riporta alla mente l’involuzione di altri mondi, come quello dell’elettronica o della ristorazione, con la deriva dell’obsolescenza programmata e dei fast food.


Indumenti sempre meno costosi prodotti da lavoratori gravemente sottopagati, una realtà governata dalla logica commerciale del mero profitto.


Un settore nocivo dove minore è la qualità, la durata e il prezzo del prodotto e maggiore è l’impatto che ha sul pianeta.



Il Deserto dell'Atacama invaso da rifiuti tessili


La produzione e lo smaltimento dei rifiuti tessili risultano sempre più tossici per l’ambiente e un enorme grido di allarme – in tal senso – proviene dal deserto dell’Atacama, in Cile.


Come apprendiamo da GreenMe, si tratta di una vera e propria zona franca nel nord del paese, invasa quotidianamente da centinaia di tonnellate di indumenti che l'hanno trasformata in una discarica a cielo aperto.


Il Cile, infatti, rappresenta storicamente il maggiore centro di raccolta e distribuzione di merce di seconda mano del Sud America, prodotta principalmente in Cina e Bangladesh e poi smistata verso gli altri continenti.


Ogni anno 39000 tonnellate di vestiti scartati o invenduti vengono “smaltiti” nel deserto dell’Atacama, dando vita ad un’emergenza ambientale di dimensioni cosmiche.


Lo "spettacolo" che regala oggi questo arido spicchio di mondo è qualcosa di aberrante che ci lascia senza parole.


Il dato è inquietante e rischia di peggiorare ancora. Si deve intervenire al più presto per porre fine a tutto ciò, per dire basta a questa pratica che non facciamo fatica a definire criminale.


L'economia circolare per salvare l'ambiente


La situazione attuale ha smosso le coscienze di alcune realtà locali come Desierto Vestido, un’associazione che si batte per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo alla grave crisi ambientale che sta vivendo la zona di Alto Hospicio.


Un altro esempio virtuoso è quello di Ecofibra, un’azienda cilena che promuove l’economia circolare riciclando i rifiuti in sostenibili pannelli acustici/termici.



Ecco la chiara rappresentazione di economia circolare: prendere rifiuti altamente dannosi per l’ambiente e riciclarli, trasformarli in qualcosa di sano ed ecologico.


La crisi ambientale globale è un tema che abbiamo spesso affrontato con MetrOfficine ed è nostro dovere denunciare certe situazioni che mettono a rischio la nostra salute e quella del pianeta.


Tempo fa vi avevamo parlato dell’impetuosa e provocatoria opera di Joe Rush - costituita interamente da rifiuti elettronici - che, durante lo scorso G7, si poneva l’obiettivo di smuovere le coscienze dei potenti sul tema dell'inquinamento.


Purtroppo di coscienze smosse ce ne sono state poche e nulla è mutato.


Ma non c’è più tempo da perdere, non possiamo ancora aspettare che qualcuno prenda per noi tutte le decisioni importanti. La responsabilità è anche la nostra.


Dalle azioni di ognuno può dipendere il futuro di tutti.


Potremmo cominciare evitando di alimentare in tale misura l’industria della moda, soprattutto quella di seconda mano.


Facciamoci questo regalo che Natale è alle porte.


Compriamo un pantalone di meno, mettiamoci una toppa.


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